In quella traversina, tutte le sante mattine, un’automobile azzurra parcheggiata senza tempo veniva assalita da due bambini identici nell’aspetto e negli sguardi, armati di cardarelle piene d’acqua e schiuma. La testa di ricci ispidi e le ginocchia vissute; erano così minuti che riuscivano ad arrampicarsi sul tetto dell’auto con le loro spugne a grana grossa per lavare vetri e cofani senza mai smettere di ridere a bocca spalancata. Risus abundat in ore bambini. Una scena genuinamente ilare che cominciò a sprofondare nel perturbante ripetendosi ogni giorno fino a spingermi a chiedere all’Antona cosa fossero quei due ragazzetti così felici nelle loro faccende. «Bambini una minchia, me li ricordo da una vita questi due, avranno la nostra età o quasi. Saranno dei nani.» La spiegazione di Valentino tradiva un certo fastidio nel tono. «Ma sono gemelli, fratelli. Spiega meglio, a te pare normale, ché vivi qui, ma capisci che a un occhio esterno... La macchina parcheggiata di chi è? L’assicurazione è pagata? È lì, ferma. Mai in moto, ce l’hanno la patente? Forse sono solo bassi e basta.»

Estratto dal racconto "CAPOSOPRANO", pubblicato da Catartica Edizioni all'interno della raccolta "FUJIRE È VERGOGNA", di Gianni Romano.