Per tempi lunghi a sufficienza da rimanere in memoria il serpente Biddina strisciò tra le canne del lago biviere alla ricerca di una delle pecore perse dal gregge vicino. Inghiottita la preda, a ritroso ripercorreva il cammino fino alla carcassa del furgone abbandonato dove si rifugiava per tornare a riposare nell’attesa che la digestione assorbisse tutto il pellame ingerito con ossa e muscoli. L’ozio tra le lamiere, circondata da piccoli rettili e mosche in vedetta, dava modo ai bambini dell’epoca di ammirare la bestia a riposo senza rischi particolari, pur mantenendosi a distanza di sicurezza. Non nascose il fastidio quando sentì una mano accarezzarle la schiena mentre parole nuove venivano sussurrate agli occhi semichiusi. «Cosa ti accontenti di una vita nel fango? Creature meravigliose come te devono governare i mondi e cibarsi d’oro. E tu vivi di scarti dal pelo insozzato da escrementi. Vai nella città e falla tua.» La figura elegante parlava una lingua istruita tipica della terra ferma. Continuò a esortare la bestia a riposo. «Vai verso la terra, reclama pascoli e ogni foraggio.» L’occhio ora sveglio osservò le squame sporche, una fame sconosciuta cominciò a lamentarsi. Una creatura così meravigliosa nascosta in uno stagno. La Biddina svegliata da una nuova furia attaccò la città.

Estratto dal racconto "LA BIDDINA", pubblicato da Catartica Edizioni all'interno della raccolta "FUJIRE È VERGOGNA", di Gianni Romano.